Friday, October 27, 2006

Sogno di oggi

Ho deciso: il tema del mio blog saranno I SOGNI E LE CITTA'. Due miei interessi specifici, due passioni, due ossessioni che spesso si incontrano e si compenetrano dentro di me come corpi di amanti. Che parlano di me attraverso il loro amplesso e mi fanno vivere altre vite.

La peculiarità del sogno di stanotte è la bolgia. Mi trovavo in mezzo a tanta gente, sulla spiaggia. Una spiaggia affollatissima, di quelle stile Versilia, con gli ombrelloni vicini, che quasi si toccano e coprono il cielo. Addirittura mio fratello e i suoi amici avevano apparecchiato un lungo tavolo, con un baldacchino di teli che lo copriva, e bivaccavano. Non era una spiaggia estiva, come sempre il mare dei miei sogni è scuro e invernale, con il cielo coperto di nuvole grigie ben tornite e la sabbia umida. Era anche mosso, solcato da gonfi cavalloni tra i quali galleggiavano tranquilli bagnanti. Faticosamente superavo la cortina di gente che affollava il bagnasciuga e mi trovavo sulla riva, con i piedi nell'acqua. Volevo fare un bagno ma la decisione era difficile perchè il mare non invitava: oltre alle onde, l'acqua era fredda e scura. Il mio corpo reagiva con difficoltà a questa situazione climatica ma anche affettiva, però faticosamente raccoglievo le forze per tuffarmi.
Ma improvvisamente la folla si raccoglieva e si spostava verso qualcosa, come guidata da una forza attrattiva.
Anche io mi incamminavo con gli altri, schiacciata in mezzo alla folla, perdendo di vista visi conosciuti. Con un'improbabile quanto repentino passaggio ci trovavamo nella mia scuola materna. Era molto più grande della realtà e disposta in maniera differente. Grandi stanze antiche, con poco mobilio. Comparivano anche le suore, compresa la mia maestra. Non c'erano bambini ma la loro presenza si percepiva, anche se l'ambiente aveva più l'aspetto di un orfanotrofio vuoto piuttosto che di un asilo. Le stanze si riempivano ad ondate, la gente si stipava alla ricerca di qualcosa, o in attesa di un ordine superiore. Il flusso ricominciava e venivamo spinti attraverso l'edificio, percorrendo corridoi bui e stanze che sfociavano in altre stanze, in una specie di ascesa faticosa. Le scale si trasformavano da larghi scaloni ottocenteschi in piccole e instabili scale a pioli di legno scuro, da soffitta: e il senso dell'ascesa aumentava, mentre le suore rimanevano ai piani bassi ed io cercavo la mia maestra, persa tra la folla a preparare lettini per bambini piccoli. Volevo raggiungerla ma l'incedere della folla in cui ero inserita non me lo permetteva. E poi avevo paura che non mi avrebbe riconosciuta. Ci ritrovavamo sul crinale di un monte, a precipizio sul mare. L'ultima faticosa salita era la scalata di una parete di roccia che finiva con una punta aguzza e scivolosa. Eravamo in tanti, io ed altri visi noti, persone della mia infanzia. Si vedeva il mare a perdita d'occhio, un mare dal sapore mediterraneo, non so dire in che ora della giornata.
La sensazione più pervasiva era quella di non poter visitare con calma e sufficiente spazio vitale il mio asilo. Assalita dalla voglia di rivederlo e ripercorrerlo stanza dopo stanza, anche negli aspetti sconosciuti, ne ero impedita dall'ingombro umano che lo presidiava. Scoprivo un corridoio di buio polveroso con le camere delle suore. Mentre gli altri avevano realizzato lo scopo della misteriosa visita io mi sentivo profondamente insoddisfatta e disorientata.
Non avevo trovato ciò che, del mio passato, ero venuta a cercare.

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