Tuesday, October 31, 2006

Sliding doors


Per tutto il giorno ho avuto la sensazione di essere in quello stupido film. Per tutto il giorno ho rincorso a cento all'ora una coincidenza. Ora sono molto stanca e vuota e vorrei solo dormire.
Però il pensiero che la vita possa costruirsi sugli equilibri delle coincidenze, o sugli squilibri della sorte mi rincorre e mi rincorrerà anche stanotte. Io l'ho rincorsa quella coincidenza, l'ho acchiappata e atterrata come un pallone da rugby sulla meta, mettendoci tutto il mio impegno, tutta l'energia che avevo in corpo, un furore fisico e muscolare, o forse uno strappo di disperazione. Poi ho lasciato defluire l'impennata di adrenalina e dopo, solo dopo, ho guardato la cosa e ho cercato di dirmi che sono stata brava, perchè era un'occasione difficile, se non impossibile, e il destino non mi premierà, ma l'ho fatto per me stessa, l'ho fatto per provarci, senza pensare al risultato anzi sapendo che ne uscirò sconfitta. E' difficile fare qualcosa senza un ritorno, in qualche forma. Me ne sono resa conto. Volendo sottilizzare potrei concludere che un motivo, se l'ho fatto, forse c'era. Ma non era una gratificazione, non era un obiettivo, ovvero lo era solo nominalmente, apparentemente. Dentro so che l'ho fatto per farlo, per farcela, per non arrendermi. E vorrei tanto esserne semplicemente contenta.

2/11/06

Succedono così tante cose nella mia testa in questo momento. Non ce l'ho fatta a non ripensarci ancora, a non riattraversare la rosa di emozioni una dopo l'altra, a non costruirci sopra dei sogni, a non riaprire insomma tutto il capitolo a 360°. Va bè, ci sono il solito mix concentrato di emozioni che il mio sistema psichico giornalmente produce, con una precisione genetica. Poi c'è una nuova fotografia di me che mi sono ritrovata dentro, come certe foto che rimangono impresse sulla macchina digitale e non ti ricordi dove come perchè le hai fatte (questa metafora per sottolineare, ancora una volta se ce ne fosse bisogno, la millimetrica casualità e la istantaneità con cui accadono certi processi). Io che provo per il gusto di provare, di mettermi in gioco. Io che faccio una cosa non per il risultato nè per la cosa in sè, ma la faccio perchè il farla è già un valore aggiunto. Io che abbraccio il detto "L'importante è partecipare" e lo vivo fino in fondo, con la consapevolezza di chi non è più adolescente ma è già adulto e quindi sa di dover deporre l'arma dell'onnipotenza nell'armadio dei ricordi. Con la perseveranza di chi ha finalmente attraversato la terra di mezzo ed è arrivato nella realtà.
Io improvvisamente più saggia e più sola e più cosciente della vita e di quello che può dare o togliere.
Non posso dire che questa cosa mi abbia fatto improvvisamente amare me stessa, questo proprio no. Però è successo qualcosa di rilevante nella direzione del vedermi più a fuoco, più definita.

Monday, October 30, 2006

Sogno dei vecchi giocattoli

Questo sogno in realtà l'ho fatto qualche tempo fa, però mi ha lasciato una sensazione così epidermica che ogni tanto lo rivedo nella mente e mi ci sento ancora dentro. Specialmente dopo quello che è accaduto oggi. Ero nella mia casa vecchia, con la mia famiglia. Tornavamo a vivere lì, senza trasloco, senza preoccuparci se ci abitava qualcuno. Bastava una chiave ed eravamo dentro. Già lasciare la casa attuale era difficile. Poi, una volta entrati, mi rendevo conto che quell'appartamento era rimasto disabitato. Ma era in rovina. Alcune stanze erano vuote, come appena dopo un trasloco. In altre, come per esempio nella nostra camera, c'erano ancora i mobili ma spaccati, accatastati, sporchi. Come se non solo fossero rimasti lì questi 20 anni o quelli che sono, ma come se il tempo li avesse deteriorati. Nei cassetti e sulle mensole c'erano ancora i miei vecchi giocattoli: in particolare la mia scatola di lego, patrimonio prezioso. Ma era tutto mummificato. I personaggi avevano i volti scheletriti e le ragnatele, come materiale biologico in decomposizione, come gli zombie di certo immaginario horror. C'era anche qualcosa di intero, per lo più boccetti di shampoo o altri accessori per il corpo. Tutto il resto giaceva provato dal tempo, ma non solo, qualcosa di più...come se fosse rimasto lì, ci fosse ancora ma consumato, asciugato, esattamente come certi ricordi, che rimangono lì ma non vivono, sono come le ombre di qualcosa che è svanito, che si è polverizzato. Non ci sono parole per il dolore che provavo. Era molto più della sofferenza per una morte. Esaminavo le mie cose, scioccata. Erano poi tutte sparpagliate, come dopo un furto, come se avessero messo a soqquadro. Ecco, il paradosso: sembrava che fosse rimasto tutto immobile da quando ce ne eravamo andati, ma invece era tutto cambiato, si era mescolato e sconvolto, si era perso, rotto o spostato. Aprivamo le finestre, facevamo aria ma era tutto inutile. Era impossibile viverci, ma proprio emotivamente. Così impossibile che non ce l'ho più fatta, ho abbandonato la mia casa, il mio passato e quel sogno impossibile.

Sunday, October 29, 2006

Esplorazioni sulla metropoli: Milano


E' veramente, veramente complicato come mi sento io dentro Milano. Ieri sera percorrevo via Carlo Botta verso Porta Romana per prendere la metro, direzione Rogoredo. Sabato sera, quasi ora di cena. A quell'ora ci sono 2 Milano: quella che si prepara a vivere la notte "fuori" e quella che si prepara a vivere la notte "dentro". Finestre illuminate sono gli occhi delle case che si riscaldano di intimità. Strade illuminate, locali dalle luci soffuse, stazioni della metro, portici, stazione ferroviaria sono i ripari di chi vive la notte fuori. Di chi si espone alla paura ancestrale di non avere un riparo ed essere sbranato vivo. Milano è molto più metropoli, per me, di altre, per esempio di Roma. Perchè è più irregolare, più nordica, più vicina all'idea di freddo e buio. C'è meno armonia, gli angoli sono appuntiti e le separazioni, le emozioni, sono nette e forti, senza vie di mezzo. Roma è più conciliante, più materna.
Insomma Milano è tutto quello che accade fuori, di notte, è un sabato sera di sballo e una domenica di torpore. Tutto quello che può succedere là fuori mentre tu sei in transito, in passaggio tra due dentro che non ti appartengono.
Milano è il ricordo dell'impossibilità di esistere, e nostalgia per la trasmutazione, quando puoi essere tutto, o niente, allo stesso tempo. E' il cuore dell'adolescenza ribelle e trasgressiva, che non può essere contenuta in niente, ma è alla ricerca disperata di qualcosa che la contenga. Milano è una ragazza che si taglia, vomita e scappa.




24/9/06
La stazione è un crocevia dove si scontrano i destini di un sacco di gente, a volte per pochi attimi, a volte per ore, o per sempre. Guardi una persona, le senti pronunciare una frase e da lì ricostruisci, immagini. Un tossico mezzo sfatto che al telefono dice "Pronto, mamma..." e non pensavi nemmeno a quella parola in bocca sua, ha un sapore strano. Un bambino dai tratti peruviani, o colombiani, che ti suggerisce panorami da foresta amazzonica, o vedute andine, vestito all'ultima moda, con i jeans e la crestina ingelatinata.
Persone di mondi diversi che transitano qui, solcano i crocevia immaginari del caotico occidente, trasformano le metropoli in agglomerati senza volto dove le diversità si mescolano e dove tutto allo stesso tempo, esiste. Lasciando in bocca il sapore di niente.
La metropoli ha il potere di annullare le distanze, di negare le separazioni ma anche di dirottare a precipizio verso istanti di solitudine immensa, mescola mentre divide, fa coesistere mentre annulla. La metropoli è un paradosso vivo, che respira. Milano è una metropoli che dilaga e si espande senza forma. Dove tutto è così vicino da potersi toccare e poi dentro si allontana fino a non vedersi più.

Friday, October 27, 2006

Sogno di oggi

Ho deciso: il tema del mio blog saranno I SOGNI E LE CITTA'. Due miei interessi specifici, due passioni, due ossessioni che spesso si incontrano e si compenetrano dentro di me come corpi di amanti. Che parlano di me attraverso il loro amplesso e mi fanno vivere altre vite.

La peculiarità del sogno di stanotte è la bolgia. Mi trovavo in mezzo a tanta gente, sulla spiaggia. Una spiaggia affollatissima, di quelle stile Versilia, con gli ombrelloni vicini, che quasi si toccano e coprono il cielo. Addirittura mio fratello e i suoi amici avevano apparecchiato un lungo tavolo, con un baldacchino di teli che lo copriva, e bivaccavano. Non era una spiaggia estiva, come sempre il mare dei miei sogni è scuro e invernale, con il cielo coperto di nuvole grigie ben tornite e la sabbia umida. Era anche mosso, solcato da gonfi cavalloni tra i quali galleggiavano tranquilli bagnanti. Faticosamente superavo la cortina di gente che affollava il bagnasciuga e mi trovavo sulla riva, con i piedi nell'acqua. Volevo fare un bagno ma la decisione era difficile perchè il mare non invitava: oltre alle onde, l'acqua era fredda e scura. Il mio corpo reagiva con difficoltà a questa situazione climatica ma anche affettiva, però faticosamente raccoglievo le forze per tuffarmi.
Ma improvvisamente la folla si raccoglieva e si spostava verso qualcosa, come guidata da una forza attrattiva.
Anche io mi incamminavo con gli altri, schiacciata in mezzo alla folla, perdendo di vista visi conosciuti. Con un'improbabile quanto repentino passaggio ci trovavamo nella mia scuola materna. Era molto più grande della realtà e disposta in maniera differente. Grandi stanze antiche, con poco mobilio. Comparivano anche le suore, compresa la mia maestra. Non c'erano bambini ma la loro presenza si percepiva, anche se l'ambiente aveva più l'aspetto di un orfanotrofio vuoto piuttosto che di un asilo. Le stanze si riempivano ad ondate, la gente si stipava alla ricerca di qualcosa, o in attesa di un ordine superiore. Il flusso ricominciava e venivamo spinti attraverso l'edificio, percorrendo corridoi bui e stanze che sfociavano in altre stanze, in una specie di ascesa faticosa. Le scale si trasformavano da larghi scaloni ottocenteschi in piccole e instabili scale a pioli di legno scuro, da soffitta: e il senso dell'ascesa aumentava, mentre le suore rimanevano ai piani bassi ed io cercavo la mia maestra, persa tra la folla a preparare lettini per bambini piccoli. Volevo raggiungerla ma l'incedere della folla in cui ero inserita non me lo permetteva. E poi avevo paura che non mi avrebbe riconosciuta. Ci ritrovavamo sul crinale di un monte, a precipizio sul mare. L'ultima faticosa salita era la scalata di una parete di roccia che finiva con una punta aguzza e scivolosa. Eravamo in tanti, io ed altri visi noti, persone della mia infanzia. Si vedeva il mare a perdita d'occhio, un mare dal sapore mediterraneo, non so dire in che ora della giornata.
La sensazione più pervasiva era quella di non poter visitare con calma e sufficiente spazio vitale il mio asilo. Assalita dalla voglia di rivederlo e ripercorrerlo stanza dopo stanza, anche negli aspetti sconosciuti, ne ero impedita dall'ingombro umano che lo presidiava. Scoprivo un corridoio di buio polveroso con le camere delle suore. Mentre gli altri avevano realizzato lo scopo della misteriosa visita io mi sentivo profondamente insoddisfatta e disorientata.
Non avevo trovato ciò che, del mio passato, ero venuta a cercare.

Thursday, October 26, 2006

Ombre dietro la schiena

A volte quando vai incontro ad eventi del futuro senti dietro le spalle l'incombere di segnali provenienti dal passato. Vorrei non dovermi confrontare con questo accadimento doloroso. La paura di essere invisibile e dimenticata. La paura di non esistere, o di essere confusa in mezzo ad una bolgia di altri esseri umani che premono per la sopravvivenza. Il bisogno di emergere quasi per una questione vitale, come respirare...la prima delle funzioni che il corpo umano deve acquisire per garantirsi la sopravvivenza. Perchè ho bisogno di tutto questo?
Di riviverlo ancora e ancora fino all'estremo, fino alla ripetizione infinita che non lascia più nulla se non un solco profondo e senza significato.
La cosa che meno riesco a tollerare è il gruppo. Io nel gruppo non riesco a funzionare, divento un arto scollegato che va per conto suo, dove confluiscono le correnti più primitive e meno elaborate di tutti gli altri. Nel gruppo ho paura di non avere aria da respirare e di soccombere.
Lo so, è un discorso poco comprensibile: lo è anche dentro di me, anche se ci sono i collegamenti oggettivi che servono per contestualizzare e capire di cosa sto parlando. Ma qui non posso inserirli. Qui sarò solo una traccia telematica, non trapelerà nulla della me vera, se non qualcosa dell'interno, riversato su queste pagine vuote e ricomposto il meglio possibile. Non sono qui per farmi conoscere, per aprirmi. Piuttosto sono qui per chiudermi, per avere un contenitore protetto in cui provare dei movimenti senza farmi del male. Sono qui per lasciare una traccia mia che non mi faccia sentire autentica ma semplicemente mi consenta di lasciare qua e là cose che non posso far vedere al mondo, come semi gettati tra le zolle di terra smossa. La mia speranza è che in qualche modo possano germinare facendo nascere una pianta nuova.
In sostanza scordatevi di capire: potete prendere i pezzi e tentare di collegarli, pensando che quest'esperienza mi fa sentire libera e protetta nelle mie debolezze, nel mio dark side tanto quanto urlare ferocemente al buio in una stanza vuota. E potete comunque avere una forma di me fatta da voi e quindi creare una me nuova attraverso di voi, ogni volta che leggete. E' per questo che ho fatto un blog e sto cercando giorno dopo giorno di creare una mia filosofia del blog attraverso la vita che ci vivo dentro, l'uso che ne faccio. Non è originale, non tanto quanto altri blog che ho visto in giro e che sono veramente dei colpi di genio, ma è mio, è la mia piccola stanza virtuale dove ho voglia di esistere. E' tutto ciò che so fare.

Wednesday, October 25, 2006

Ode alla metropoli di cristallo: NY


Vorrei scrivere su New York da qui.
Ma non riesco. Certe cose le ho provate solo là, anche semplicemente chiudendo gli occhi e respirando, incamerando aria, rumori e suoni. Anche l'aria di NY è particolare e se respiri a occhi chiusi sai esattamente dove sei. Sei a NY.

2/1/2005
Sono a NY da poche ore. Ho fatto una doccia, una camomilla, e ora scrivo dal mio enorme letto ad una piazza e mezzo dell'hotel di Manhattan dove siamo alloggiati. La prima impressione è stata brusca: caotica, sporca, piena di quell'accozzaglia di cose che balzano all'occhio marginalmente nei film americani. Case di legno, 1000 luci, sacchi dell'immondizia per le strade buie di Queens, odori forti, miliardi di scritte pubblicitarie, luci ad alveare nei grattacieli...

Anche ora la sento che si muove dietro i vetri e che non si fermerà mai, fino a nuovo giorno. Succede di tutto là fuori questa notte

La metropoli di cristallo è come un respiro pesante in cui confluiscono tutti i rumori d'America. E' un vicolo malfamato con i fumi del riscaldamento che escono dal marciapiede. E' una finestra con i vetri piombati a precipizio su una coperta di tetti da attraversare. E' il Central Park dove incontro un inviato di Rai 3 che passeggia e vedo un'enorme lago su cui uccelli marini hanno formato una striscia con i loro corpi. E'il palazzo dei Gosthbusters. E' una città portuale. E' Brooklyn e tanti visi di contadini del sud che hanno iniziato a vivere qui un secolo fa. E' la città di Oriana Fallaci anche se non ho trovato la sua casa, ma sapevo che c'era. E'l'abisso di Ground Zero visto di notte in cui si rifrangono cristalli di luce e affondano nomi di eroi sconosciuti. E' un flauto che intona God Bless America all'angolo di una strada. E' Little Italy triste scenografia vuota di un film primi novecento. E' assenza di homeless e chiedersi dove sono andati a finire.

E' alzare gli occhi e metterci un po' prima di trovare il cielo.






Wednesday, October 18, 2006

Buco d'acqua e...figliol prodigo



Metti tutti questi sogni strani che ho fatto, e la visione di un film surreale e inquietante, "Profumo", al cinema con una mia amica e poi la sosta al messicano, a mangiare cibo finto e piccante. Poi la storia di un amico (ma era un amico??) diciamo conoscente, che ha deciso di andarsene improvvisamente e non si capisce come gli altri la pensino veramente (la parabola del figliol prodigo...). E i sogni che continuano, e sono sempre più nitidi, immagini e situazioni che mi sento di aver vissuto davvero e la mattina, quando mi sveglio ed entro nella vita reale, mi lasciano la testa confusa e mi sento stordita, come se improvvisamente mi trovassi in un'altra città, in un'altro mondo, al tempo di un battito di ciglia...chi sono veramente?A volte è così difficile separare la realtà, dalla fantasia, dall'allucinazione, è più comodo farsi trasportare nel caleidoscopio di immagini della psiche che sono come tanti spezzoni di film cuciti assieme. Solo ieri immersa in una marea di ballerine pre e tardo adolescenti, con la pelle lucida, i capelli volminosi e gli occhi brillanti. Corpi acerbi e bellissimi, dalla morbidezza scultorea, dalle linee allungate e snelle. Desiderio di perdersi anche in quel mondo, che svanisce quando si chiude il sipario e svanisce ancora, come un sogno alle prime luci dell'alba.
Un sogno da rincorrere finchè resta fiato in gola. Abiti indossati con noncuranza, gioco di stili condotto con la leggerezza dell'adolescenza, dove tutto vale nel momento in cui esiste e poi scompare. Adolescente per sempre, contro il tramonto, contro il freddo della notte, adolescente nella trasformazione perenne che non porta da nessuna parte. Un orecchino strano e capelli fermati con le mollette e calzini di lana e un maglione largo e una scia di lucidalabbra che risplende nel buio.

Tuesday, October 10, 2006

Open water 2


Quando ero piccola trascorrevo un mese di vacanza al mare in Toscana. L'ultimo giorno, prima di tornare a casa, mi immergevo per l'ultima volta. Guardavo il blu profondo dell'acqua con gli occhi nella maschera e pensavo Ciao mare... Mi dispiaceva lasciarlo. Era il saluto di una bambina a qualcosa che sentiva vivo e parte di sè. Pensavo semplicemente questo, ciao mare...e sapevo che lui mi stava ascoltando. Silenzioso, in attesa di un inverno di solitudine. Poi mi allontanavo, avvolta nell'asciugamano, e mi voltavo un'ultima volta, per catturarlo nello sguardo.
Ciao mare, ci vediamo l'anno prossimo...
Ciao mare, ci vediamo l'anno prossimo... (cosa farai qui solo per tutto l'inverno?)

Già allora volevo vivere dentro al mare

OPEN WATER. Riflessioni sottomarine


Non ho mai visto questo film. Ho visto il trailer, ne ho sentito parlare ma non l'ho mai visto. Stanotte però ho fatto un sogno che lo riproduceva esattamente. Ero sola, in mezzo ad un mare come questo, una distesa d'acqua a perdita d'occhio in cui si specchiava un cielo scuro.
Io amo nuotare, specialmente al largo. Anche se ti dà quella sensazione di vulnerabilità, di essere solo al cospetto della potenza della natura. Ma nel sogno ero ancora più sola perchè non c'erano altre persone, non c'era terra, non c'era nulla. Solo due squali, la cui pinna emergeva dall'acqua, che si avvicinavano lentamente a me, innocui come delfini. Ma sapevo che sarebbe durata poco. Mi avrebbero mangiata viva. Nessuno mi avrebbe potuto salvare. Ero sola di fronte alla mia morte, una morte atroce, che mi avrebbe fatto soffrire tantissimo. Non ho mai visto la fine di quell'incubo. Era un'idea così insopportabile che mi sono svegliata prima. So che vorrei morire in mare. Così come sono nata nell'acqua così vorrei morirci. Tutte le volte che lo vedo, immenso e immobile, un silenzio primitivo e assoluto, penso a come sarebbe sparirci dentro, per sempre. A come sarebbe trapassare da lì, da quella quarta dimensione che è l'acqua. L'acqua è come un'interfaccia tra due mondi. Ecco perchè adoro nuotare. Avete mai sperimentato il suono che si propaga sott'acqua? E' la voce del mare, la voce dell'abisso.
Quando sono sotto penso che vorrei essere un pesce, per viverci. Mi immergo, e prima di riemergere provo un leggero dolore, un'intima sofferenza nel lasciare quello. Il riemergere, il filo dell'acqua, è il passaggio tra le due dimensioni. Sono sopra, inizio a respirare con i miei polmoni, vedo il cielo, il sole che mi scalda. Eppure soffro, perchè mi sono separata...

Ho visitato blogs bellissimi, vere opere d'arte. Mi sono chiesta come mai sentissi l'esigenza di creare un blog ma ancora non ho saputo rispondere. Da una parte pare un'esigenza estetica connessa all'impulso di creare che in questo periodo sta occupando la mia mente a tempo pieno. Dall'altra c'è questo fatto delle cose molto personali che normalmente si bloggano, e che anche se non lo sono apparentemente, in realtà parlano di te più di quanto te ne possa rendere conto. Non saprei dire quanto un blog lo faccia chi guarda o chi scrive. A volte mi sembra che sia l'osservatore, il navigatore casuale che si imbatte in quella pagina, proprio quella in mezzo a milioni di altre, che dia un valore a quel blog più di quanto possa averne in sè stesso. Se non ci fosse l'occhio anonimo del visitatore, del lettore, il blog esisterebbe? I libri esisterebbero senza lettore? E' la stessa cosa di quando ci chiediamo se l'albero che cade nella foresta senza nessuno che lo sente faccia rumore...
Non so se l'idea del mio blog avrebbe preso corpo senza i mille occhi che scrutano dal buio del mondo virtuale. Del resto vorrei svilupparlo, abbellirlo giorno dopo giorno come si fa quando si compra una casa nuova. La prima volta che ci vai dentro e la senti tua e inizi a pensare a cosa metterci, partendo dalle cose essenziali per arrivare alle decorazioni, alle supellettili, ai quadri, a tutto quello che te la fa sentire veramente tua. E io che una casa mia non ce l'ho, e chissà per quanto tempo non l'avrò, ho deciso di prendermi questo spazio di nulla, questo appartamento virtuale tutto mio, che posso costruiredipingerearredaredistruggere come piace a me. Dove ci sono solo io che apro la porta e faccio entrare gli ospiti. Dove posso urlare se mi va e fracassare tutto. Dove posso riposare e richiudermi su me stessa nel mio mondo, e giocare con le parole, le lettere e i suoni. Dove posso muovermisaltareurlare. Ce l'ho fatta. L'ho inaugurato, l'ho battezzato...
Welcome blog in your virtual world

Monday, October 09, 2006

HOMESWEETHOME

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Non basterà un'ora. Me la farò bastare ma non basterà, per dirti tutto quello che devo. Ho scoperto un mondo mentre viaggiavo su un treno vecchio verso la stazione di Milano in una mattina grigia.