Thursday, November 02, 2006

Sogno dell'immobilità

Essere così come nei sogni, dove chi deve piangere piange e chi deve chiere pietà chiede pietà...

Questo sogno va a toccare punti di estrema delicatezza, zone dov'è concentrato tutto. E' uno dei cosiddetti sogni ricorrenti.
Ci sono io e una persona affettivamente importante ed altre persone, tutte vicine alla mia vita, nel presente o nel passato.
Io non cammino e sono su una sedia a rotelle. Ma nel sogno non è affatto chiara la situazione: non so se non cammino perchè non voglio, perchè non posso, perchè le mie gambe sono troppo deboli per sostenermi, o perchè hanno qualcosa, di volontario o di involontario, che non le fa funzionare. Guardo quindi il mondo da questa prospettiva, seduta, senza potermi muovere e quindi senza poter gestire appieno la mia vita. Mi sento dipendente dagli altri e in modo particolare da una persona che riveste per me un ruolo materno. Quando questa persona improvvisamente si trova impossibilitata a seguirmi, rimango sola e devo cercare di spostarmi nel mondo su questa sedia a rotelle. La nostalgia di lei è forte: la penso sempre, desidero averla accanto. Ma sono sola e mi trovo nella mia vecchia parrocchia. Il piazzale è pieno di ragazzi, a partire dai bambini fino ad arrivare ai giovani, che sono in attesa di riunirsi per gli incontri di catechismo. Una sorta di primo giorno di scuola del catechismo. Mi sento disorientata, cerco di avvistare visi noti ma sono stata talmente lontana da quell'ambiente che non sono sicura mi riaccoglieranno, anche se mi trovo in una situazione di evidente bisogno. Riconosco qualcuno, qualche compagna e poi c'è il parroco. Proprio lui che ha sempre covato una certa ostilità nei miei confronti perchè non ero come si aspettava, lui da cui ho cercato di fuggire ed ora mi trovo a dovermi riavvicinare. Lui mi guarda sempre da lontano, mettendomi a fuoco e dimostrandomi di avermi vista, ma senza mai sorridermi. In qualche modo vengo accolta dal gruppo, anche se non calorosamente, sto ai margini, osservando, sperando che qualcuno mi tenda una mano. E una persona lo fa, una vecchia compagna di scuola. Mi riaccompagna verso casa terminato l'incontro e forse, ma non ne sono sicura, provo ad alzarmi e appoggiandomi alla carrozzina, a muovere qualche passo. Intanto ho ricominciato a sentirmi parte di quel gruppo, e loro si sono ricostituiti come punto di riferimento nella mia vita. Penso soddisfatta a quando li rivedrò, a quando starò in mezzo a loro durante la messa.
Eppure continuo a non sapere che cos'hanno le mie gambe. E' come se non fossero neanche attaccate a me, come se avessero vita propria e il potere di decidere come comportarsi, se funzionare o no. Per un attimo ho il dubbio di poterle usare, di provarci davvero, che la situazione presente non è una condanna e non è immutabile ma posso fare la differenza. Ma so che sto tornando a casa e troverò quella figura materna che mi ridarà il potere di continuare a non camminare.

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